Parte I - Impatto sui rapporti contrattuali –
parte generale
La forza maggiore.
L’ordinamento italiano non definisce il concetto di “forza
maggiore”, che viene inteso dalla giurisprudenza come un evento che impedisce lo
svolgimento di una certa azione, connotato dai seguenti requisiti:
- straordinarietà,
da valutarsi oggettivamente in base a criteri statistici;
- imprevedibilità,
da valutarsi con criteri oggettivi riferiti a una persona di normale capacità e
media diligenza, avuto riguardo al momento della conclusione del contratto e
alle concrete circostanze sussistenti in quel momento;
- non imputabilità
al soggetto obbligato (cioè al debitore), da intendersi nel senso di evento del
tutto esterno, non derivante da un comportamento doloso o colposo del debitore;
- inevitabilità,
ossia impossibilità a superare l’impedimento, non permettendo di adempiere ugualmente
la prestazione con modalità alternative.
Rispetto all’attuale emergenza, l’evento impeditivo potrebbe
essere costituito sia dalla diffusione del virus in quanto tale (come fenomeno
della natura avente determinati effetti negativi), sia dai provvedimenti
dell’autorità pubblica (factum principis) che, per contrastare l’epidemia,
hanno imposto rigide limitazioni, con ripercussioni significative
sull’esercizio delle attività economiche.
In linea di principio, l’emergenza coronavirus e le relative
misure di contenimento appaiono certamente configurabili quali cause di forza
maggiore. Rispetto alle misure di contenimento, depone in tal senso anche una
norma della recente legislazione emergenziale, l’art. 91 del decreto “Cura
Italia” (d.l. 17 marzo 2020, n. 18), laddove prevede che “il rispetto
delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini
dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c.,
della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di
eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Nel caso concreto, per verificare se i provvedimenti
emergenziali costituiscano una causa di forza maggiore rispetto a un
determinato contratto, sarà quindi necessario valutare la sussistenza dei
requisiti indicati in relazione alle specifiche caratteristiche del
contratto.
Qualora la causa di forza maggiore sussista in concreto,
occorrerà verificare quali siano gli effetti che ne derivano sul contratto. Salvo
che il contratto contenga una specifica clausola di forza maggiore idonea a farne
discendere determinati effetti prestabiliti dalle parti (ad esempio, l’obbligo
di rinegoziare le clausole del contratto), oppure che sia la legge a disporre
con disciplina speciale gli effetti della risoluzione (alcune discipline
speciali in ambito IP & IT sono illustrate nel prosieguo), il rapporto
contrattuale potrà in via generale essere interessato dalle conseguenze
derivanti dall’applicazione degli istituti della risoluzione del contratto per
impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità sopravvenuta.
L’impossibilità sopravvenuta.
La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta
comporta l’estinzione delle obbligazioni divenute definitivamente
impossibili a causa dell’evento impeditivo.
Il debitore, liberato dalla propria prestazione divenuta
impossibile, non potrà quindi pretendere la controprestazione e dovrà
restituire quella eventualmente ricevuta; in ogni caso, come anticipato, il
debitore non sarà tenuto al risarcimento del danno.
Quando si rappresenta una ipotesi di impossibilità temporanea
(o reversibile), il contratto entra in una fase di sospensione e,
finché l’impossibilità perduri, il debitore non potrà essere considerato
responsabile per i danni.
Anche un impedimento temporaneo potrebbe tuttavia comportare
la risoluzione del contratto, quando il debitore non possa più ritenersi
obbligato a eseguire la prestazione o il creditore non abbia più interesse a
conseguirla.
Nel caso in cui l’impedimento renda invece parzialmente impossibile
eseguire il contratto, il rapporto contrattuale rimarrà in essere per le
prestazioni ancora eseguibili; l’altro contraente, però, avrà in questo caso diritto
a una riduzione della prestazione dovuta e, se non abbia un interesse
apprezzabile a ricevere un adempimento meramente parziale, potrà recedere
dal contratto.
Rispetto alle obbligazioni pecuniarie (cioè agli
obblighi di pagare delle somme di denaro), il riconoscimento dell’esenzione da
responsabilità per il debitore inadempiente incontra tradizionalmente forti
difficoltà, dovute alla considerazione dell’impossibilità come “oggettiva”,
tale da non poter incidere su un’obbligazione che, avendo a oggetto beni
fungibili, sarebbe sempre possibile.
In giurisprudenza, da ultimo, tale possibilità è stata comunque
riconosciuta, purché il mancato pagamento non derivi da una mera difficoltà o impotenza
economica, bensì da una situazione di impossibilità dovuta a un impedimento
obiettivo e assoluto.
L’eccessiva onerosità sopravvenuta.
Il diverso strumento della risoluzione per eccessiva onerosità
sopravvenuta spetta alla parte che, a causa dell’evento di forza maggiore, si
ritrovi a dover eseguire una prestazione che è divenuta eccessivamente
onerosa: con la risoluzione del contratto, tale parte potrà porre rimedio
al significativo squilibrio determinatosi tra le prestazioni del contratto.
La controparte potrà comunque evitare lo scioglimento del
contratto offrendo di modificare le condizioni contrattuali in modo da
ricostituire l’equilibrio contrattuale.
Il rimedio non è applicabile ai contratti aleatori
(art. 1469 c.c.), oppure quando l’evento non sia realmente imprevedibile,
rientrando nella c.d. alea normale del contratto, cioè negli ordinari
rischi che i contraenti sono consapevoli di assumere quando concludono il
contratto (art. 1467 c.c.).
Effetti del Covid-19 sulla causa
concreta del contratto.
Sul rimedio della risoluzione del contratto, rispetto
all’attuale emergenza potrebbe essere rilevante un’ipotesi ulteriore di
risoluzione, creata dalla giurisprudenza (nella nota sentenza “Dengue”, Cass.
16315/2007) per far fronte a quelle situazioni in cui l’evento impeditivo, pur
non determinando l’impossibilità di eseguire il contratto, renda l’esecuzione
concretamente inutile per una delle parti (c.d. impossibilità sopravvenuta
di utilizzazione della prestazione).
Sempre in base all’istituto dell’impossibilità sopravvenuta
di utilizzazione della prestazione, nell’ipotesi dei contratti di durata,
oltre all’effetto risolutivo, potrebbero ravvisarsi gli estremi anche per la sospensione
temporanea del contratto.
Effetti del Covid-19 e presupposizione
del contratto.
L’emergenza da Covid-19 potrebbe incidere sul destino di un
contratto anche tramite l’istituto giuridico di creazione giurisprudenziale
della presupposizione, riguardante il caso in cui le parti concludono un
contratto presupponendo l’esistenza di una situazione oggettiva (di fatto o di diritto)
che, pur non essendo stata richiamata nel contratto, ha valore determinante
rispetto all’esistenza del rapporto contrattuale stesso.
Effetti del Covid-19 e rinegoziazione
del contratto.
Per far fronte agli effetti negativi derivanti
dall’emergenza coronavirus, le parti potrebbero rinegoziare le
condizioni contrattuali mediante un nuovo accordo.
Di regola, la rinegoziazione non è un obbligo per le parti,
rientrando nella libertà contrattuale provvedervi o meno, salvo che la rinegoziazione
sia prevista da apposita clausola del contratto.
Alcuni interpreti ritengono tuttavia che, in presenza di
eventi straordinari che creino uno squilibrio del contratto, sia
possibile invocare un vero e proprio diritto di ottenere la rinegoziazione del
contratto, in applicazione del generale dovere costituzionale di solidarietà
(art. 2 Cost.) e del principio di buona fede contrattuale.
Sul punto si è recentemente espresso il Tribunale di Roma,
secondo cui, in tema di affitto d’azienda e nell’ipotesi in cui il conduttore
sia stato costretto a sospendere l’attività d’impresa, il conduttore ha diritto
a una riduzione del canone d’affitto limitatamente al periodo di impossibilità
parziale, in base al combinato disposto degli artt. 1256 c.c. e 1464 c.c.
(Trib. Roma, ord. 29/05/2020).
In merito all’obbligo di rinegoziazione del contratto, il disegno
di legge recante la delega al Governo per la revisione e integrazione del codice
civile (XVIII legislatura) prevede di disciplinare il diritto delle parti
di pretendere la rinegoziazione dei contratti secondo buona fede qualora
divengano eccessivamente onerosi per cause eccezionali e imprevedibili, ovvero
di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali, qualora
non si raggiunga un accordo tra le parti.
Contratti con operatori economici
stranieri.
Rispetto ai contratti conclusi con operatori economici
stranieri, il MISE, con circolare del 25 marzo 2020, ha previsto la possibilità,
per le imprese interessate, di richiedere alle Camere di Commercio Industria,
Artigianato e Agricoltura, appositi cc.dd. certificati di forza maggiore.
In particolare, si potranno ottenere dichiarazioni in lingua
inglese con cui le Camere di Commercio attestano di avere ricevuto dall'impresa
richiedente un’auto-dichiarazione in cui l’impresa medesima afferma di non avere
potuto assolvere nei tempi gli obblighi contrattuali precedentemente assunti “per motivi imprevedibili e indipendenti
dalla volontà e capacità aziendale” relativi alle misure di contenimento del
Covid-19 adottate dall’autorità pubblica.
Parte
II – Impatto sui rapporti contrattuali IT & IP
Effetti
sui contratti dell’ambito della proprietà intellettuale (IP)
Contratti
di edizione.
La
situazione emergenziale, con riguardo ai contratti aventi ad oggetto diritto
d’autore, si riverbera con particolare evidenza sui contratti stipulati in
ambito editoriale e cinematografico.
Per
quanto concerne i contratti di edizione, l’editore potrebbe trovarsi
nell’impossibilità di adempiere l’obbligo di pubblicazione a causa della
sospensione delle attività produttive imposta per fronteggiare la pandemia.
La
prestazione potrebbe, inoltre, divenire eccessivamente onerosa nel caso in cui
l’assenza di utili nel periodo di sospensione avesse reso precaria la
situazione finanziaria dell’editore.
Ai
sensi dell’art. 127 della Legge 22 aprile 1941, n. 633 (l.a.), la pubblicazione
dell’opera da parte dell’editore deve avere luogo entro il termine fissato
dal contratto, che non può essere superiore a due anni (decorrenti dal giorno
della consegna dell’esemplare definitivo dell’opera). In assenza di termini
contrattuali, la pubblicazione dell’opera deve avere luogo non oltre due anni
dalla richiesta scritta fattane all’editore. Se l’editore non fa pubblicare
l’opera entro il termine concordato, l’autore ha diritto di domandare la
risoluzione del contratto ex art. 128 l.a.
La
pubblicazione è infatti per lo più ritenuta la finalità primaria del
contratto di edizione.
Il
diritto dell’autore ad ottenere la risoluzione alla scadenza del termine
potrebbe essere sospeso nel caso in cui l’impossibilità di pubblicare l’opera
sia dovuta a cause di forza maggiore.
Produzione
cinematografica e audiovisiva.
La
situazione risulta più articolata nel settore cinematografico, data la
pluralità dei contratti che caratterizzano le varie fasi della filiera
produttiva e distributiva.
Per
quanto concerne la fase della produzione cinematografica il problema può
investire, in primo luogo, la sorte dei contratti conclusi tra il produttore e
i coautori dell’opera (soggettista, sceneggiatore, autore della colonna
musicale e regista). Il produttore potrebbe sostenere che le sue prestazioni –
consistenti nel pagamento dei corrispettivi ai coautori – sono divenute
eccessivamente onerose perché i mancati incassi dei film la cui uscita era in
programmazione nel periodo di chiusura delle sale cinematografiche hanno
compromesso la sua situazione finanziaria.
Se
non pare potersi ravvisare alcun impedimento ad adempiere le obbligazioni
contrattualmente assunte dagli autori dei contributi letterari e musicali,
l’impossibilità sopravvenuta della prestazione potrebbe, invece, essere
invocata dal regista nel caso in cui le restrizioni imposte ai fini del
contenimento del contagio avessero in concreto impedito lo svolgimento o
l’ultimazione delle riprese nel rispetto del piano di lavorazione.
L’attuale
situazione emergenziale potrebbe, infine, ripercuotersi su un altro aspetto
inerente ai contratti cinematografici. L’art. 50 l.a. prevede che se il
produttore non porta a compimento l’opera cinematografica nel termine di
tre anni dalla consegna dei contributi letterari o musicali o non fa proiettare
l’opera entro tre anni dal compimento, gli autori dei suddetti contributi
riacquistano il diritto di disporne liberamente.
Nel
caso in cui l’emergenza Covid-19 si fosse manifestata a ridosso della scadenza
del termine previsto dalla norma, il produttore incorrerebbe nel rischio di non
rispettare il termine e di non poter vantare più alcun diritto sui singoli
contributi. Anche in questo caso, quindi, si potrebbe addivenire alla
risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, oppure ipotizzare la
sospensione del termine in oggetto.
In
relazione ai contratti di distribuzione cinematografica, entrambe
le parti coinvolte potrebbero trovarsi nell’impossibilità di adempiere le
proprie obbligazioni: il produttore che non fosse riuscito a portare a termine
il film non potrebbe mettere a disposizione del distributore il c.d. negativo
originale (master) e gli altri materiali propedeutici alla distribuzione entro
il termine contrattualmente pattuito.
L’inadempimento
per impossibilità sopravvenuta a carico del distributore potrebbe,
invece, configurarsi qualora la chiusura delle sale cinematografiche fosse
intervenuta dopo aver ricevuto i materiali da parte del produttore.
Licenze
di marchi e brevetti.
In
materia di marchi e brevetti il problema dell’inadempimento della
prestazione per cause di forza maggiore potrebbe porsi in relazione ai contratti
di licenza.
Il
licenziatario di un’invenzione brevettata potrebbe, in primo luogo, invocare
l’impossibilità sopravvenuta della prestazione in relazione all’obbligo di
attuazione minima dell’invenzione previsto in alcuni contratti di licenza.
La
sospensione delle attività produttive imposta dall’emergenza epidemiologica e
la conseguente impossibilità di commercializzare le invenzioni brevettate o i
prodotti contraddistinti dal marchio, inoltre, potrebbe rendere eccessivamente
oneroso l’adempimento delle prestazioni pecuniarie contrattualmente assunte dai
licenziatari, quantomeno nel caso in cui il canone per lo sfruttamento
abbia natura forfetaria (diversa sarebbe l’ipotesi di un corrispettivo
calcolato in percentuale sulla vendita di ogni singolo prodotto).
La
questione potrà diversamente dirimersi anche a seconda della configurazione
delle componenti del corrispettivo e dell’eventuale esistenza di un minimo
garantito.
Accordi
con minimi garantiti.
Particolari
problemi che interessano in via trasversale contratti afferenti a diversi
settori della proprietà intellettuale attengono alla clausola del “minimo
garantito” (spesso inserita nei contratti di licenza di marchi o brevetti e
nei contratti di distribuzione cinematografica).
In
forza di questa clausola, il titolare dei diritti di proprietà intellettuale
riceve dal licenziatario o dal distributore una somma a titolo di anticipo sui
futuri compensi. La clausola può assumere due diverse configurazioni:
-
minimo in conto anticipazioni: prevede che l’importo anticipato venga
recuperato trattenendo una somma sulla percentuale dei futuri proventi, a
prescindere dal loro ammontare;
-
minimo forfetizzato: prevede che l’importo anticipato venga recuperato
solo se i futuri proventi superino una determinata soglia.
Nel primo caso, il titolare dei
diritti IP potrebbe sostenere che la restituzione dell’importo anticipato è
divenuta troppo onerosa (ad esempio, nel caso di un contratto di distribuzione
cinematografica, a causa della mancanza assoluta di incassi dovuta alla
temporanea chiusura delle sale cinematografiche).
Nel secondo caso, il contratto
diventerebbe molto probabilmente aleatorio (art. 1469 c.c.), escludendo
così la possibilità di una sua risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta,
per le ragioni di cui si è in precedenza parlato.
Effetti
sui contratti di e-commerce con il consumatore (BtoC)
La
situazione Covid-19 può comportare rilevanti difficoltà nell’approvvigionamento
e successiva consegna di beni oggetto di compravendita.
In
tali casi occorre prestare particolare attenzione agli obblighi previsti dal
Codice del Consumo (C.d.C.) in fase precontrattuale e nell’esecuzione del
contratto con il consumatore.
Consegna
delle merci.
La
disciplina in favore del consumatore prevede alcune informazioni obbligatorie
che il professionista deve fornire in fase pre-contrattuale, e comunque
prima della conclusione del contratto, tra cui le modalità di consegna del bene
e le tempistiche entro le quali il professionista si impegna a
effettuale la consegna o prestare il servizio (art. 49 C.d.C.).
L’operatore
economico professionista dovrà quindi tenere conto del fatto che le consegne
dei beni potrebbero subire ritardi a causa dell’emergenza da Covid-19 e, di
conseguenza, darne opportuna comunicazione ai consumatori.
In
relazione alla consegna delle merci, il Codice di Consumo impone al
professionista di adempiere senza ritardo ingiustificato e, al più tardi, entro
trenta giorni dalla data di conclusione del contratto (art. 61 C.d.C.).
In
caso di inadempimento, è previsto che il consumatore debba invitare il
professionista a effettuare la consegna entro un termine supplementare
appropriato alle circostanze. Alla scadenza del termine supplementare, il
consumatore potrà richiedere la risoluzione del contratto, oltre al
risarcimento del danno.
Il
primo termine previsto (di consegna senza ingiustificato ritardo e, al più
tardi, entro 30 giorni dalla conclusione del contratto) si reputa comunque in
via generale non perentorio, posto che il professionista che non avesse
adempiuto entro tale primo termine, potrà comunque procedere a effettuare la
consegna nel rispetto del successivo termine supplementare stabilito.
Il consumatore ha
invece diritto a richiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del
danno, senza procedere a invitare il professionista alla consegna in termine
supplementare, nei seguenti casi:
-
qualora
il professionista rifiuti di consegnare i beni;
-
se
il primo termine sia da considerarsi essenziale, tenuto conto di tutte le
circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto (essenzialità
oggettiva);
-
oppure
nel caso in cui il consumatore abbia informato il professionista, prima della
conclusione del contratto, che la consegna entro o ad una data determinata è
essenziale (essenzialità soggettiva).
Approvvigionamento
delle merci.
Il
ritardo o la mancata consegna del bene possono essere determinati dalla
difficoltà di approvvigionamento delle merci.
In
tal caso occorre ricordare che ai sensi del Codice del Consumo costituisce pratica
commerciale ingannevole fornire al consumatore informazioni non
corrispondenti al vero circa la disponibilità di un bene (artt. 20 e 21
C.d.C.).
Somministrazione
continuata o periodica.
La
difficoltà di approvvigionamento di beni oggetto di contratti a esecuzione
continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, può divenire,
nell’attuale situazione epidemiologica, eccessivamente gravosa.
Qualora
reperire un bene sul mercato diventi infatti eccessivamente oneroso, per aumento
del costo del bene o del suo trasporto, la giurisprudenza ritiene che non si
configuri un caso di impossibilità della prestazione, considerato che i beni
sono ancora reperibili sul mercato; a fronte dello squilibrio tra domanda e
offerta, causato da un eccessivo aumento dei prezzi, il rimedio percorribile potrebbe
essere quello dell’impossibilità parziale (art. 1467 c.c.), di cui si è
in precedenza parlato.
Vendita
di beni generici e di cosa altrui.
Il
rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta
(escluso nell’ipotesi di compravendita avente effetto traslativo immediato) è
applicabile allorché la vendita abbia l’effetto traslativo differito a un
momento successivo alla conclusione del contratto.
Ciò
accade quando il trasferimento della proprietà dipenda dal verificarsi di un fatto
ulteriore, quale, per la vendita di cose indicate solo nel genere, la specificazione
oppure, per la vendita di cosa altrui, l’acquisto della proprietà da parte del
venditore (Cass. 3575/1988).
Nel
caso di vendita di cosa altrui, prevista dall’art. 1481 c.c., il venditore
potrebbe superare la presunzione di colpa nell’inadempimento per la mancata
consegna del bene promesso anche fornendo la prova che esso sia determinato da
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile
(Cass. 1676/1982).
Effetti
sui contratti nell’ambito della protezione dei dati personali (GDPR)
In materia di privacy e protezione dei dati personali, gli
effetti della situazione creatasi con la pandemia Covid-19 si potranno in
particolare produrre sui contratti di nomina a responsabile del trattamento
in essere con i fornitori (art. 28 del Regolamento (UE) 2016/679).
Occorre per essi considerare che l’eventuale risoluzione di
contratti di fornitura di servizi prestati da fornitori nominati “responsabili
del trattamento” comporterebbe la cessazione dei trattamenti svolti da tali
fornitori per conto del soggetto titolare del trattamento.
Al riguardo, i titolari del trattamento dovranno
valutare le clausole del contratto che disciplinano la cancellazione o la restituzione
dei dati dopo che è terminata la prestazione dei servizi relativi al
trattamento, per verificare l’eventuale presenza di un onere di comunicazione
della scelta in merito alla loro cancellazione o restituzione entro un certo
termine.
In presenza di una previsione che imponga al titolare di
effettuare tale scelta entro termini brevi, infatti, il rischio è che, in caso
di inerzia, il responsabile provveda alla cancellazione dei dati e il titolare
perda definitivamente asset di valore strategico.
A cura di IT LawFirm –
info@itlawfirm.it