1.
Misure nei confronti degli intermediari: cosa
prevede la Direttiva enforcement
La possibilità di ricorrere all’ingiunzione dinamica trova espressa
definizione e collocazione nella Comunicazione del 29 novembre 2017 della
Commissione UE contenente le linee guida per l’interpretazione di determinati
aspetti della Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (c.d. “Direttiva
enforcement”) [1].
La base normativa delle ingiunzioni dinamiche è individuata negli
articoli 9 e 11 che disciplinano il tema delle misure inibitorie, cautelari e
non. La stessa formulazione dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), prevede
che le ingiunzioni cautelari possano essere emesse per prevenire qualsiasi
violazione imminente, anche nei confronti di un intermediario i cui servizi
sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale.
La Commissione ha giustificato questa lettura della Direttiva enforcement
evidenziando che i provvedimenti tradizionali, finalizzati a inibire un
comportamento in essere, spesso non sono sufficienti a impedire gli illeciti
perché possono non risultare applicabili qualora intervengano modifiche
dell’oggetto per il quale il provvedimento è stato disposto. Può essere il
caso, ad esempio, delle ingiunzioni di blocco di un sito web, allorché, mentre
un’autorità giudiziaria competente ha emesso un’ingiunzione con riferimento a
determinati nomi di dominio, possono apparire facilmente siti speculari sotto
altri nomi di dominio (c.d. “siti alias”) che non sono colpiti dall’ingiunzione.
La possibile soluzione in questi
casi, secondo la Commissione, è rappresentata dalle ingiunzioni dinamiche. Si parla di “ingiunzione dinamica” in caso di
provvedimenti disposti nei confronti degli internet service provider e finalizzati
a rimuovere le informazioni caricate in un momento successivo
all’accertamento, o bloccarne l’accesso, nel caso in cui il contenuto sia
identico o equivalente a uno già dichiarato illecito, chiunque sia l’autore
della violazione. Si tratta di ingiunzioni che possono essere emesse, ad
esempio, nei casi in cui lo stesso sito web diventi disponibile con un
indirizzo IP o un URL differenti da quelli oggetto dell’ingiunzione; in tal
caso l’ingiunzione dinamica è formulata in modo da includere anche il nuovo
indirizzo IP o l’URL senza che si renda necessario un nuovo procedimento
giudiziario per ottenere una nuova ingiunzione.
La lettura della Commissione è
suffragata inoltre dall’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
(sentenza del 12 luglio 2011 relativa alla causa C-324/09) secondo cui [2], per
quanto riguarda gli intermediari i cui servizi sono utilizzati dai terzi per
violare un diritto di proprietà intellettuale, le ingiunzioni di cui all’articolo
11 possono essere emesse anche per prevenire nuove violazioni.
2.
Limitazioni agli obblighi degli intermediari:
cosa prevede la Direttiva e-commerce
La maggiore critica mossa nei confronti di questa lettura della Direttiva
enforcement è il possibile contrasto con quanto previsto dalla Direttiva
2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a
taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in
particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (c.d. “Direttiva
e-commerce”).
Ai sensi della Direttiva e-commerce, infatti, i prestatori di servizi
internet di mere conduit, caching e hosting godono di un esonero da
responsabilità per le informazioni trattate o le operazioni compiute da chi
fruisce del medesimo servizio, al sussistere di alcune condizioni.
In particolare, l’art. 12 dedicato al mere conduit, prevede che il
prestatore di un servizio di trasmissione di informazioni o di fornitura di
accesso a una rete internet non sia responsabile delle informazioni trasmesse a
condizione che: (a) non dia origine alla trasmissione, (b) non selezioni il
destinatario della trasmissione e (c) non selezioni né modifichi le
informazioni trasmesse.
Per quanto riguarda l’attività di caching - memorizzazione
automatica, temporanea e transitoria di informazioni effettuata al solo scopo
di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro
richiesta - l’art. 13 esonera il prestatore dalla responsabilità a condizione
che: (a) non modifichi le informazioni, (b) si conformi alle condizioni di
accesso alle informazioni e (c) alle norme di aggiornamento delle informazioni,
indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del
settore, (d) non interferisca con l’uso lecito di tecnologia ampiamente
riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego delle
informazioni, (e) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha
memorizzato, o per disabilitare l’accesso, non appena venga effettivamente a
conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si
trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni è stato
disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa
ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione dell’accesso.
Infine, l’art. 14 in relazione all’attività di memorizzazione di
informazioni fornite dal destinatario del servizio (hosting) prevede che
il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta
di un destinatario del servizio, a condizione che (a) non sia effettivamente al
corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto
attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze
che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione, (b) non
appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le
informazioni o per disabilitarne l’accesso.
In ogni caso, le previsioni di esonero da responsabilità lasciano impregiudicata
la possibilità, per un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa, di ordinare
al prestatore di porre fine a una violazione o di impedirla, nonché la
possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle
informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime, purché non sia
imposto ai prestatori di servizi un obbligo di sorveglianza generalizzato sulle
informazioni memorizzate o trasmesse dai fruitori del servizio.
Ciò considerato, l’ammissibilità dell’ingiunzione dinamica è stata messa
in discussione perché ai prestatori dei servizi non potrebbe essere ordinato di
rimuovere o disabilitare l’accesso a informazioni che ancora non siano state
memorizzate o trasmesse e di cui non sia già stata accertata l’illiceità, senza
prevedere un obbligo di sorveglianza generalizzato.
3.
Le condizioni di ammissibilità proposte dalla
giurisprudenza
I dubbi sul possibile contrasto tra la lettura della Commissione della Direttiva
enforcement e la Direttiva e-commerce sono stati risolti dalla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea con
la sentenza del 3 ottobre 2019 relativa alla causa C-18/18, secondo cui l’attuale quadro normativo non pregiudica la
possibilità di ingiungere al prestatore di servizi di hosting di porre
fine a una violazione o di impedirla
mediante un’ingiunzione dinamica, mantenendo un bilanciamento tra gli
interessi dei titolari dei diritti di proprietà intellettuale e quelli dei
prestatori dei servizi.
I giudici europei hanno quindi dichiarato
ammissibile, ai sensi della Direttiva
enforcement e della Direttiva e-commerce, la possibilità di obbligare i
prestatori di servizi di hosting alla rimozione di contenuti dichiarati
illeciti, anche se caricati successivamente all’accertamento in sede giudiziaria. In particolare, è possibile ordinare a un
prestatore di servizi di hosting di rimuovere le informazioni memorizzate sui
suoi server e il cui contenuto sia equivalente a quello di un’informazione
precedentemente dichiarata illecita o di bloccare l’accesso alle medesime,
purché la sorveglianza e la ricerca delle informazioni oggetto di tale
ingiunzione siano limitate a informazioni che veicolano un messaggio il cui
contenuto rimane sostanzialmente invariato rispetto a quello che ha dato luogo
all’accertamento d’illiceità e che contiene gli elementi specificati nell’ingiunzione;
inoltre, le differenze nella formulazione di tale contenuto equivalente
rispetto a quella che caratterizza l’informazione precedentemente dichiarata
illecita non siano tali da costringere il prestatore di servizi di hosting ad
effettuare una valutazione autonoma di tale contenuto.
La stessa Corte di Giustizia aveva anticipato il principio affermando che
una ingiunzione finalizzata a prevenire nuove violazioni sarebbe stata
corroborata dall’art. 18 della Direttiva e-commerce, che esige che gli Stati
membri provvedano affinché i ricorsi giurisdizionali previsti dal diritto
nazionale, per quanto concerne le attività dei servizi della società
dell’informazione, consentano di prendere provvedimenti «atti a porre fine alle
violazioni e a impedire ulteriori danni agli interessi in causa» [3].
La pronuncia della Corte di Giustizia conferma quanto già affermato dai
tribunali nazionali in tema di ingiunzione dinamica, e in particolare da quelli
italiani.
Attivo sul tema è
stato il Tribunale di Milano che con ordinanza del 3 luglio 2018, a conferma
del decreto inaudita altera parte del 14 novembre 2017, aveva imposto agli ISP
di adottare, entro un termine massimo di dieci giorni dalla ricezione della
specifica segnalazione delle violazioni, le più opportune misure tecniche al
fine di impedire ai destinatari dei servizi l’accesso al portale su cui erano
disponibili i contenuti denunciati, con il diritto al rimborso delle spese
tecniche strettamente necessarie, da porsi a carico del soggetto richiedente le
misure, le quali potevano riguardare tanto il nome a dominio specifico del
portale, quanto ulteriori nomi a dominio dei siti “alias” che
realizzavano le stesse violazioni.
Successivamente il
Tribunale di Milano (con ordinanza del 21 ottobre 2019) ha inibito l’attività
di messa a disposizione dei file torrent alle opere protette dal diritto d’autore per
il tramite della piattaforma gestita dai destinatari del provvedimento, nonché
di ogni altra piattaforma per la condivisione peer-to-peer avente
caratteristiche simili, o per il tramite del sito web e di qualsiasi altro sito
alias gestito dai medesimi titolari.
Gli ultimi
provvedimenti dal punto di vista temporale in tal senso sono stati i decreti del
24 dicembre 2019 e 14 gennaio 2020 con cui il Tribunale di Milano ha ordinato
ai fornitori di servizi di connettività di adottare le più opportune misure
tecniche al fine di inibire effettivamente a tutti i destinatari dei propri
servizi l’accesso ai nomi a dominio individuati dalle ricorrenti, anche ove ad
essi venisse associato un diverso top
level domain – qualora avessero trasmesso la medesima opera
oggetto dei ricorsi –, nonché l’accesso agli alias derivanti da
modifiche al second level domain, con l’ulteriore condizione che
sussistesse l’obiettivo collegamento con i soggetti responsabili dell’attività
illecita iniziale.
In ambito europeo, tra le altre [4],
si segnala la sentenza del 21 dicembre 2017 della High Court of Justice of
England and Wales a conferma della pronuncia della High Court of Justice
Chancery Division: la pronuncia accoglieva la richiesta della Football Association
Premier League Limited, titolare dei diritti sulle riprese delle partite della
Premier League, per ordinare un blocco dei c.d. “streaming servers” rivolto ai
maggiori fornitori di servizi di connettività inglesi. La particolarità della
richiesta stava nel fatto che l’ordine della Corte non prevedeva un blocco
generico dei siti web utilizzati per trasmettere le riprese delle partite,
bensì una sospensione temporanea dell’accesso ai server dai quali proveniva
lo streaming illecito, limitato al periodo della trasmissione in diretta delle
partite. La misura, attiva temporalmente solo nei momenti in cui potevano
verificarsi gli illeciti, è stata individuata dalla Corte per bilanciare gli
interessi dei titolari dei diritti di proprietà intellettuale con la libertà d’impresa
dei fornitori dei servizi di connettività.
4. La portata innovativa delle ingiunzioni
dinamiche
L’ingiunzione dinamica si sta
affermando come strumento flessibile ed efficace nel contrasto alla pirateria
digitale. La possibilità di ricorrervi non è più oggetto di discussione come
certificato dalle diverse decisioni in ambito nazionale e sovranazionale che ne
hanno ammesso l’uso, purché sia adottata con le cautele necessarie per
bilanciare i diversi interessi concorrenti.
[1] Communication from the Commission
to the Institutions on Guidance on certain aspects of Directive 2004/48/EC of the
European Parliament and of the Council on the enforcement of intellectual
property rights, consultabile al link https://ec.europa.eu/docsroom/documents/26582
[2] Causa
C-324/09, L’Oréal contro eBay, punto 131, “Si deve poi rilevare che, alla luce
della finalità perseguita dalla direttiva 2004/48, che consiste nel far sì che
gli Stati membri assicurino, in particolare nella società dell’informazione, la
tutela effettiva della proprietà intellettuale (v., in questo senso, sentenza
29 gennaio 2008, causa C‑275/06, Promusicae, Racc. pag. I‑271, punto 43), la
competenza attribuita, conformemente all’art. 11, terza frase, della stessa
direttiva, agli organi giurisdizionali nazionali deve consentire a questi
ultimi di ingiungere al prestatore di un servizio online, quale colui che mette
a disposizione degli utenti di Internet un mercato online, di adottare
provvedimenti che contribuiscano in modo effettivo, non solo a porre fine alle
violazioni condotte attraverso tale mercato, ma anche a prevenire nuove
violazioni.”
[3] Causa
C-324/09, L’Oréal contro eBay, punto 132.
[4] In ambito
europeo, tra le decisioni che hanno disposto un’ingiunzione dinamica, si
segnalano anche: Midden Nederland District Court, case No. C/16/448423 / KG ZA 17-382, judgment of 12
January 2018; Amsterdam Court Of Appeal, case number 200.243.005/01, judgment of
2 June 2020; Swedish Patent and Market Court,
case PMT 7262-18, judgment of 9 December 2019.
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